Impatto ambientale del cibo: qual è la vera impronta idrica della carne bovina?

Impatto ambientale del cibo: qual è la vera impronta idrica della carne bovina?

9 Gennaio 2023 Off Di lanotiziadelgiorno

Alimentazione e sostenibilità, un binomio di cui è importante sapere di più. Sempre più spesso si sente parlare dell’impatto ambientale del cibo che portiamo sulle tavole e di come anche attraverso le nostre scelte alimentari sia possibile aiutare il pianeta nell’affrontare i gravi problemi ambientali che lo affliggono. 

Una recente ricerca, realizzata da un team di studiosi del Regno Unito e pubblicata sulla rivista scientifica Pnas, ha  ad esempio stimato l’impatto ambientale di ben 57mila prodotti alimentari, presenti nei supermercati inglesi, attraverso un algoritmo che utilizza le informazioni pubblicamente disponibili sugli ingredienti che li compongono. Lo studio pone attenzione su diverse cause ambientali. Ad esempio, in classifica si citano noci e mandorle, penalizzati laddove vi sia un determinato impiego di pesticidi, ma anche cioccolato e caffè, a causa della deforestazioni connessa alle loro colture. 

Ma come determinare il costo che l’ambiente paga per il nostro cibo?

La valutazione dell’impatto ambientale del cibo

Sono diversi infatti i fattori che si devono prendere in considerazione per valutare il peso ambientale degli alimenti. Si va dalle emissioni di gas serra prodotte – tenuto conto l’intero ciclo di vita dell’alimento (Life Cycle Assessment) – l’uso del suolo, l’eventuale utilizzo di fertilizzanti. A fare la differenza è poi anche l’acqua impiegata per la sua produzione, in quanto si tratta di una risorsa sempre più preziosa e la cui disponibilità è molto a rischio in tante aree del pianeta.

Ad esempio, se andiamo ad analizzare l’impronta idrica della carne bovina, viene comunemente ritenuto che servano circa 15mila litri d’acqua per produrre un chilo di manzo, il che indurrebbe a pensare che fare a meno di questo alimento contribuirebbe a risparmiare l’oro blu della Terra. Ma le cose stanno veramente così?

L’impronta idrica della carne bovina: cosa ne pensa il CREA?

Secondo quanto riportato in un recente articolo scritto da ricercatori del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria)  e pubblicato sul portale CreaFuturo,  il dato dei 15 mila litri d’acqua per produrre un chilogrammo di carne sarebbe frutto di un calcolo abbondantemente sovrastimato, che non tiene conto di alcune variabili.

Innanzitutto, come si legge nel testo, “più del 90% dell’acqua necessaria a produrre carne è di tipo verde, cioè acqua che cade sul suolo, che potrebbe in alternativa essere usata o per far crescere rovi o colture destinate ad alimentare bovini” e che comunque tornerebbe per evapotraspirazione nel ciclo dell’acqua e quindi non verrebbe consumata. A ben vedere “solo il 5-7% dell’acqua impiegata per la produzione di carne sarebbe blu”, cioè acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali.

Come affermato anche dal professor Ettore Capri, Direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo sostenibile Opera e docente di Scienze agrarie, alimentari e ambientali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ed uno dei maggiori esperti italiani sull’argomento, “bisogna decurtare” il valore dell’impronta idrica della carne bovina “dell’ottanta percento, se non di più

Il calcolo è più complesso di quel che si pensi, e andrebbe eseguito con molta più precisione. In particolare il metodo di valutazione dei consumi di acqua, che porta a calcolare l’impronta idrica semplicemente sommando l’acqua blu (cioè quella prelevata da falde, fiumi o laghi), l’acqua verde (ossia quella piovana evo-traspirata dal terreno durante la crescita delle colture) e l’acqua grigia (quella che serve a diluire e depurare gli scarichi di produzione)”. Si tratta, spiega il Professore, di “un approccio di calcolo scorretto, perché così facendo non si distinguono i tre tipi di acqua, sommandoli come se avessero lo stesso impatto sulla disponibilità idrica”.

Sempre secondo l’articolo dei ricercatori del Crea, oltre all’aspetto della corretta considerazione della tipologia di acqua, va tenuto conto che  una quota di  quella usata per l’allevamento di bovini da carne va assegnata anche ai servizi ecosistemici che la zootecnia estensiva eroga.  Ad esempio, tra questi servizi viene riportato nella pubblicazione come “L’allevamento bovino da carne grazie all’uso di foraggi grossolani e pascolo utilizza per fini produttivi anche aree destinate ad essere abbandonate con conseguente: maggiore fissazione di carbonio organico nel suolo e minor rilascio della CO2 nell’atmosfera; limitazione degli incendi estivi; minore dilavamento e dissesti idrogeologici; arricchimento di azoto, sia grazie alle deiezioni che con la coltivazione di leguminose”.

Nel conteggio per una corretta determinazione della water footprint della carne bovina “non si può” inoltre “prescindere dal considerare l’efficienza dell’uso dell’acqua, le condizioni pedoclimatiche del suolo e i diversi sistemi di produzione zootecniche, che vanno da estensivi, con minor uso di acqua blu, a intensivi”.

Quanto detto fin qui fa capire come i 15 mila litri di acqua per produrre un chilogrammo di carne sono frutto di una non corretta considerazione dei  vari tasselli che dovrebbero comporre il percorso di valutazione dell’impronta idrica dell’alimento, ma anche calcolando correttamente la water footprint  con i nostri comportamenti a tavola possiamo veramente contribuire al risparmio dell’acqua?

Meno carne più acqua, un binomio che non convince

La risposta a cui arrivano i ricercatori del Crea è che  “in una dieta equilibrata, la presenza di carne bovina non modifica sostanzialmente la sua impronta idrica”. Questo perché, secondo gli studiosi, se si sostituisce parte della carne con verdura e frutta, che derivano da colture irrigue, il consumo complessivo di acqua nella dieta non varia in modo sostanziale. 

A dimostrazione vengono riportati alcuni studi, come quello realizzato da  Cambeses-Franco et al nel 2022, che pone a confronto la dieta EAT-Lancet con porzioni ridottissime di carne (meno di 100g a settimana) e la Dieta Mediterranea (300g di carne a settimana). Secondo questo lavoro, nonostante un diverso apporto di carne non ci sarebbero differenze nel consumo di acqua, ma non solo. Dalla stessa ricerca emerge che “la dieta italiana con 500g di carne a settimana impatta meno sul consumo di acqua a causa di un cospicuo uso di pasta”.

In conclusione,  secondo i ricercatori del Crea le analisi sull’impronta idrica non sono fatte per modificare il nostro regime alimentare, ma se compiute correttamente possono aiutare nelle scelte politiche, economiche nonché nello sviluppo tecnologico nel settore agrifood di uno Stato. “La transizione proteica”, come si legge nell’articolo, “che propone soluzioni alternative alla nostra dieta, radicata in un contesto culturale”, non sembra quindi “apportare, nel breve periodo, benefici al benessere dell’uomo, dell’animale e dell’ambiente”.